
La sentenza nr. 2952/2016 emessa dal Tribunale di Padova in data 27.10.2016 offre un prezioso contributo interpretativo circa l’annosa questione della prevalenza tra il contratto di lavoro individuale ed il CCNL applicato.
Più precisamente la pronuncia, per certi versi innovativa, enuncia la legittimità della contrattazione individuale di un contratto di lavoro a tempo parziale per un numero di ore inferiore a quello minimo previsto dal relativo CCNL; evidenziando pertanto il limite dell’azione amministrativa della Direzione Territoriale del Lavoro nella riqualificazione/adeguamento del rapporto di lavoro individuale ai livelli minimi previsti dalla contrattazione nazionale.
Veniamo al fatto.
Con ordinanza ingiunzione il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Territoriale del Lavoro di Padova – ingiungeva al datore di lavoro H.Q. il pagamento della sanzione amministrativa di € 860,00 per aver violato la disposizione di cui all’art. 14 D.Lgs. n. 124/2004, allegata al Verbale unico di accertamento e notificazione, in forza della quale “le disposizioni impartite dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale, nell’ambito dell’applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale, sono esecutive”.
Più precisamente, nel caso di specie, dall’esame della documentazione aziendale visionata dal personale ispettivo della Direzione Territoriale del Lavoro emergeva che il datore di lavoro avesse instaurato con i lavoratori L.S. e H.Y., a fronte di esplicita richiesta scritta ei lavoratori in tal senso, rapporti di lavoro a tempo parziale con una durata settimanale dell’orario di lavoro inferiore al limite minimo previsto dal CCNL applicato.
Nella specie i lavoratori impiegati erano altresì studenti universitari e necessitavano di un orario lavorativo ridotto a fronte degli impegni di studio e frequentazione dell’ateneo.
Pertanto,il funzionario ispettivo impartiva al H.Q. di “modificare la durata settimanale dell’orario di lavoro a tempo parziale indicata nei contratti stipulati con i dipendenti L.S. e H. Y., rispettando il limite minimo previsto dalla contrattazione collettiva di riferimento”.
Il datore di lavoro non si conformava alla disposizione impartita e di qui l’irrogazione della sanzione in argomento.
H.Q. proponeva ricorso in opposizione ad ordinanza ingiunzione ex art. 22, L. 689/81 e art. 6 D.Lgs. 150/2011 con istanza di sospensione ai sensi dell’art. 5 e 6, D.Lgs. 150/2011, facendo valere in quella sede l’illegittimità derivata dell’ordinanza ingiunzione sul punto, in quanto illegittimo era l’atto di diffida la cui violazione è stata sanzionata.
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione nel regolare i rapporti tra diversi livelli di contrattazione, più specificatamente tra CCNL e contratti aziendali, ha evidenziato come “l’eventuale concorso tra i diversi livelli contrattuali non deve essere risolto secondo i principi della gerarchia e della specialità propria delle fonti legislative, bensì attraverso l’accertamento di quale sia l’effettiva volontà delle parti, desumibile dal coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutti pari dignità e forza vincolante” (Cass. Civ. 19396/2014).
Il Tribunale di Padova, chiamato a pronunciarsi sulla controversia indicata, con sentenza nr. 2952/2016 ha ritenuto mutatis mutandis applicabile il principio di diritto sopra enunciato non solo ai rapporti tra contrattazione collettiva e contratti aziendali ma, altresì, tra CCNL e contratto di lavoro individuale osservando quanto segue.
E’ pur vero, secondo il Tribunale, che l’art. 1, comma 3, D.lgs. n. 61 del 2000, nel demandare alla contrattazione collettiva nazionale o territoriale la possibilità di determinare condizioni e modalità della prestazione lavorativa del rapporto di lavoro a tempo parziale, pone una prescrizione generale e generica suscettibile, pertanto, di essere integrata da un comando ex art. 14, D.Lgs. n. 124/2004 ([1]); ma è altrettanto vero che nell’ordinamento giuridico non si rinviene alcuna disposizione di legge che imponga alle parti contrattuali l’obbligo di rispettare l’orario minimo previsto dalla contrattazione collettiva; e ciò sulla scorta del disposto di cui all’art. 1372 c.c. secondo il quale il contratto – in tal caso di lavoro subordinato – ha forza di legge tra le parti.
Pertanto, in assenza di uno specifico divieto in tal senso, qualora la determinazione dell’orario lavorativo venga effettuato in accoglimento di una richiesta del lavoratore e non sia, conseguentemente, frutto di una imposizione del datore di lavoro, occorre rispettare la volontà dei contraenti di pattuire un orario di lavoro inferiore al minimo stabilito dalla contrattazione nazionale ([2]).
Nell’accogliere il ricorso promosso dal datore di lavoro, il Tribunale di Padova evidenzia l’illegittimità del provvedimento dispositivo per carenza di motivazione.
Il giudice adito, infatti, evidenzia come: “pur dovendo ammettere che l’ispettore del lavoro possa sindacare gli accordi tra datore di lavoro e lavoratore comportanti una deroga all’orario minimo di lavoro stabilito nel CCNL, il provvedimento in esame appare comunque affetto da violazione di legge, ravvisandosi in tal caso l’assenza di motivazione. Infatti, la scelta di imporre al datore di lavoro il rispetto di un orario minimo, pur a fronte di un’esplicita richiesta scritta del lavoratore, può in tale ottica giustificarsi solo qualora venga dato adeguato conto delle motivazioni per i quali quella richiesta non corrisponde all’effettiva volontà del lavoratore ovvero è riconducibile, in via diretto od indiretta, ad un atto coercitivo o unilaterale del datore di lavoro (circostanze queste che si evidenzia non sono state neppure contestate nel caso di specie).”.
In caso contrario, conclude il Giudicante, qualora il personale ispettivo, nell’esercizio del potere di diffida di cui all’art. 14, D.Lgs 124/2004, imponesse al datore di lavoro il rispetto dell’orario minimo previsto dal CCNL applicato si giungerebbe alla paradossale conclusione che “finirebbe egli stesso per porre in essere un atto coercitivo nei confronti del lavoratore il quale sarebbe così costretto a prestare la propria opera anche in periodi di tempo che egli voleva riservare ad altre attività”.
Una sentenza dal carattere decisamente illuminante sia quanto al rapporto tra contrattazione collettiva ed individuale, sia quanto ai poteri ispettivi propri delle Direzioni territoriali del Lavoro.
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(Altalex, 13 dicembre 2016. Nota di Alessandro Boschieri e Luana Laterza)
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[1] L’art. 14, D.Lgs. 124/2004 dispone: “Le disposizioni impartite dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale, nell’ambito dell’applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale, sono esecutive”.
[2] Sotto il profilo contributivo si ricorda che i contributi previdenziali ed assistenziali devono essere calcolati tenendo conto dell’orario pattuito tra le parti nel contratto di lavoro a tempo parziale, anche se questo sia inferiore a quello minimo definito dal CCNL di riferimento (INPS, msg. 14.02.2005 n. 5143 e Cass. Civ. 29923/2008).